Da una parte deve fare scelte manageriali solide, dall’altra non può ignorare quello che si aspettano i parenti azionisti: certe volte, il CEO familiare sembra camminare su un filo sospeso. E lì nasce il cortocircuito.
Succede, ad esempio, quando c’è da decidere se distribuire utili o reinvestire. O quando uno zio vuole “tenere d’occhio i numeri” e chiede più accesso ai dati. Tutti vogliono essere trattati in modo equo, ma ognuno ha la propria idea di cosa sia “giusto”.
Così il CEO rischia di restare solo. Preso tra le pressioni familiari e le logiche aziendali, finisce per scontentare tutti. O peggio: prende decisioni sbilanciate pur di evitare lo scontro.
Serve una base solida. Un patto tra soci scritto bene, con regole chiare, nero su bianco. Solo così si protegge il CEO da ruoli ambigui e aspettative implicite.
E l’impresa smette di essere un campo minato emotivo.